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Stefano Marzetti, chef executive del Mirabelle Restaurant, e le sue radici.

Stefano Marzetti, chef executive del Ristorante Mirabelle dell’Hotel Splendide Royal, si racconta in una bellissima intervista in cui non soltanto ha aperto la porta di questa magnifica location, ma ha aperto la porta della sua cucina e della sua vita. E’ stato emozionante per me ascoltare la sua storia, i suoi sogni, i suoi sacrifici che l’hanno portato dov’è ora. E ammetto che a volte è stato anche difficile rimanere concentrata. La vista di Roma da questa terrazza ti toglie il fiato. Elegante e raffinato il ristorante ha un Roof Garden sospeso su Villa Borghese, un polmone verde che durante i mesi estivi dona un piacevole fresco e la vista di San Pietro rende Roma assolutamente perfetta, almeno da qui. Il Mirabelle ha aperto quindici anni fa e prevede 120 coperti, direi tanti se pensiamo alla media del suo genere. Ha una saletta interna, un privè di trenta posti che viene utilizzato per piccoli eventi privati o degustazioni di vini, grazie alla realizzazione della cantina con moltissime etichette prestigiose. Lo chef Marzetti insieme al Sommelier, Fabrizio Colaianni, costruisce serate a tema in base alle regioni italiane. Ad esempio per la serata Piemonte vengono proposte degustazioni di vini tipicamente piemontesi abbinati a prodotti tipici di quella terra come le nocciole e il tartufo. Come ci avvicineremo ai mesi estivi le degustazioni verteranno su regioni del Sud.

Una caratteristica importante dello chef Marzetti è la passione con cui racconta i suoi piatti, il percorso e lo studio che ha portato alla realizzazione dei suoi menù. Parlo al plurale perché almeno 6 volte nell’arco dell’anno lo chef propone nuovi piatti. La sua cucina viene definita da lui stesso chiara, diretta e viscerale. Il suo obiettivo primario è creare pietanze che abbiano un sapore ben definito, non devono nascere da tentativi astratti ma devono esser equilibrati e semplici. Ogni piatto ha qualcosa da raccontare, deve rappresentare un percorso. Un grande professionista, secondo lo chef, non deve esser soltanto bravo a gestire un gruppo o saper delegare nella sua cucina, ma deve rispettare il commensale e il suo viaggio attraverso tre percorsi, tre portate che abbiano un equilibrio tra loro, ovvero un equilibrio tra il gusto e le proprietà nutrizionali della materia prima utilizzata.

Il lavoro dello chef negli ultimi mesi è focalizzato alla realizzazione di un menù degustazione chiamato “Le mie radici”. Rappresenta un gioco di parole, una ricerca dei prodotti tipici della sua terra, l’Umbria, abbinati alle proprie radici. E proprio dal racconto dei suoi piatti che riusciamo a capire il connubio tra radici, tradizioni ed eleganza che sono alla base della sua cucina.

I piatti proposti dallo chef Marzetti

Una tavola bianca con risotto carnaroli ricco di radici, carpaccio di gamberi rossi conditi con l’emulsione ottenuta dagli stessi gamberi, e una spolverata di anice stellato, precedentemente essiccato e setacciato. Un risotto in cui le radici rappresentano una parte fondamentale. Lo chef ha scelto la scorza nera, il topinambur e il sedano rapa che in parte vengono tagliate a cubetti e in parte ridotte in crema. Adagiati sul riso vengono posti gamberi rossi cotti e appena scaloppati in modo creando un carpaccio e poi vengono conditi con una maionese fatta con gli stessi gamberi, emulsionati con acqua e olio di semi. Per le radici lo chef sceglie l’essiccazione, dopo due e tre giorni diventano come corn flakes croccanti al palato, in questo modo il sapore dell’alimento rimane intatto e, unito al riso, crea anche un contrasto sia di sapore che di consistenza.

Un secondo primo piatto proposto nel nuovo menù, è una pasta a base di acqua e farina di semola di pane duro, una pasta che viene grigliata come il Dim Sun, la pasta tipicamente giapponese, con la differenza che quest’ultima è composta da farina di riso e tapioca, mentre nella pasta proposta dallo chef la farina è più grezza, come se fosse una polenta. Una volta stesa il ripieno è di ragù alla genovese, a base di vitella e di coscia di maiale spolpata e stufata in padella, creando una consistenza croccante, con una crema di caciocavallo podolico e un ristretto di cacciatora. E’ la rivisitazione di un piatto della cultura campana che prevede il ragù come condimento per i paccheri mentre in questo caso viene inserito dentro il raviolo.

La zuppa di arzilla e broccolo romano, è invece la rivisitazione della zuppa romana, un piatto della tradizione come si faceva nel “ghetto”. In questo piatto c’è la ricerca del passato alleggerito con giusti ingredienti. Il procedimento è molto semplice, viene preparata una zuppa di sedano, carote, cipolla, aglio e alloro e successivamente si aggiunge nella casseruola l’arzilla con tutta la testa. Una volta stufata viene spolpata e le carcasse e le lische vengono inserite di nuovo nel brodo. La polpa di arzilla e il brodo filtrato vengono messi da parte. A questo punto inizia la preparazione del broccolo. Sedano, carote, cipolla, aglio e acciughe e broccoli a pezzettini a fiori vengono fatti brasare e sfumare con del vino bianco, alloro e bacche di pepe e peperoncino. Questo è il momento in cui si uniscono i sapori del broccolo con il brodo di arzilla. Per completare il piatto vengono soffritti i pomodorini spolpati senza semi e aggiunti alla zuppa e alla polpa di arzilla sfilacciata. Il tutto viene servito in un piatto fondo, accompagnato da tagliolini, a base di acqua e farina senza uovo, al nero di seppia attorcigliati al centro del piatto come un nido nero. Ultimo tocco, viene grattugiato il broccolo viola a crudo sul nido.

Dopo i tre primi piatti lo chef ci espone un secondo a base di pernice rossa. I due petti vengono separati dal busto centrale e le coscette vengono cotte in olicottura, ovvero inserite in olio aromatizzato con rosmarino, maggiorana e timo. Tutte spezie dette robuste poichè hanno il perno centrale più duro. Prendiamo tutti gli aghetti, li eliminiamo dalla corteccia centrale e creiamo questo olio con l’aggiunta di alloro. Le cosciette vengono cotte nel forno a 180 gradi per un’ora e trenta minuti, appena saranno cotte la polpa viene battuta con il coltello grossolano e vengono creati dei piccoli polpettoni di pernice. L’osso non viene gettato via ma viene portato ad ebollizione con l’aceto finché non diventa bianco. A questo punto i polpettoni vengono fritti con il panko, un pancarrè grezzo tipico della cucina giapponese, e con le mandorle. Mentre vengono fritte l’ossetto della pernice viene inserito ad innesco. Della pernice vieni utilizzato tutto. I petti vengono posizionati nel piatto come un sandwich con all’interno la cipolla rossa di Tropea candita, il tartufo nero pregiato, due foglie di spinaci e uno strato sottile di foie gras. Questo sandwich viene poi chiuso con una fetta di pancetta e inserita nella pasta sfoglia come un saccottino. Una volta cotta nel forno si tagliano le due estremità, i due medaglioni vengono posizionati su una crema di zucca graffiata nel piatto bianco, e infine vengono aggiunte e le polpette. Lo Chef serve il piatto con una salsa al tartufo.

La regola di questo piatto è non disperdere i sapori nelle cotture, viene mantenuto il broccolo croccante e la zuppa cotta nel brodo viene usata come base per miscelare i due sapori.

 

Non puoi che rimanere affascinata dal racconto dettagliato di ogni ingrediente e procedimento che ha portato alla realizzazione dei suoi piatti. Rende tutto di una grande semplicità. E tu pensi solo per un’istante che forse non è poi così difficile prepararne uno. Dopo poco torni alla realtà e non può che ringraziare lo chef per il viaggio nella sua cucina, nelle sue radici, e nelle tradizioni da lui rivisitate.

Un piccolo consiglio, ognuno di noi almeno per una volta deve salire sulla terrazza del Mirabelle, un luogo dove tutto è assolutamente magnifico.

Grazie chef Stefano Marzetti

Grazie per l’ospitalità Mirabelle Restaurant  Via di Porta Pinciana, 14, 00187 Roma | Tel. 06.42168838

 

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